Il contesto normativo e il dibattito giuridico
Il tema del fine vita e dell’eutanasia assistita è al centro di un acceso dibattito in Italia, dove la legislazione nazionale non ha ancora disciplinato in modo organico la materia, lasciando spazio a interventi giurisprudenziali della Corte Costituzionale e a iniziative regionali. Anche l’Abruzzo potrebbe essere chiamato a discutere una legge regionale in materia, sull’esempio di altre Regioni che hanno tentato di regolamentare l’accesso al suicidio medicalmente assistito.
L’eutanasia e il suicidio assistito rimangono, nel nostro ordinamento, vietati dall’art. 579 e dall’art. 580 del Codice Penale, ma la Corte Costituzionale, con la storica sentenza n. 242/2019 (caso Cappato-Dj Fabo), ha aperto uno spiraglio, dichiarando l’illegittimità dell’art. 580 c.p. nella parte in cui punisce chi agevola il suicidio di una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze insopportabili, e pienamente capace di autodeterminarsi. La Consulta ha così imposto al legislatore l’adozione di una normativa che regolamenti il diritto a una morte medicalmente assistita, ma a distanza di anni il Parlamento non è ancora intervenuto.
Il ruolo delle Regioni: cosa possono fare
In assenza di una legge nazionale, alcune Regioni hanno avanzato proposte di legge per disciplinare il percorso di accesso al suicidio assistito, basandosi sui criteri stabiliti dalla Corte Costituzionale.
Le regioni possono , nella loro autonomia legislativa , adottare una legge regionale che regolamenti le procedure di verifica delle condizioni stabilite dalla Consulta, ovvero:
•La presenza di una patologia irreversibile e una condizione di sofferenza insopportabile;
•La piena capacità di autodeterminazione del paziente;
•L’inefficacia di trattamenti alternativi che allevino la sofferenza;
•La verifica da parte di un comitato medico indipendente.
Una normativa regionale potrebbe garantire ai cittadini l’accesso a un percorso chiaro e regolamentato, evitando incertezze interpretative e disparità di trattamento nei diversi territori
La visione della Chiesa cattolica sull’eutanasia e sul fine vita
Il tema dell’eutanasia e del suicidio assistito è fortemente contrastato dalla Chiesa cattolica, che lo considera incompatibile con il rispetto della vita umana. Il Magistero della Chiesa, nella Dichiarazione sull’eutanasia della Congregazione per la Dottrina della Fede (1980) e nel più recente documento Samaritanus Bonus (2020), ribadisce che “l’eutanasia è un atto intrinsecamente malvagio, in ogni situazione o circostanza.” Secondo la dottrina cattolica, la vita è un dono di Dio e nessuno ha il diritto di disporne, nemmeno quando la sofferenza è insopportabile.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2276-2279) distingue nettamente l’eutanasia dall’accanimento terapeutico. Se da un lato rifiuta qualsiasi forma di eutanasia attiva o assistita, dall’altro riconosce la legittimità della sospensione dei trattamenti sproporzionati che prolungherebbero artificialmente la vita senza reali benefici per il paziente. In questo senso, la Chiesa accetta le cure palliative come alternativa eticamente accettabile per alleviare le sofferenze.
Papa Francesco ha più volte ribadito la posizione della Chiesa su questo tema, sottolineando che “non esiste un diritto alla morte” e che una società civile dovrebbe investire nelle cure per i malati piuttosto che offrire soluzioni che terminano la vita. La Chiesa, attraverso le sue strutture sanitarie e pastorali, promuove l’accompagnamento del malato, con un’attenzione particolare alla dimensione umana e spirituale della sofferenza.
Eutanasia e suicidio assistito: il confronto con le legislazioni europee
Molti Paesi europei, tra cui Svizzera, Belgio, Olanda, Spagna e Portogallo, hanno già regolamentato il suicidio assistito o l’eutanasia attiva, riconoscendo ai cittadini il diritto a una morte dignitosa. L’Italia rimane indietro su questo fronte, nonostante le pronunce della Corte Costituzionale e le richieste provenienti dalla società civile, come dimostrano i milioni di firme raccolti per il referendum sull’eutanasia legale, poi bloccato dalla Consulta per l’incompatibilità con i principi costituzionali.
Conclusioni: la politica regionale può dare una risposta ai cittadini?
Di fronte all’inerzia del Parlamento, le Regioni hanno la possibilità di intervenire per colmare il vuoto normativo, predisponendo regolamenti che garantiscano il diritto all’autodeterminazione nel fine vita. Una legge regionale non potrebbe introdurre direttamente l’eutanasia attiva, ma potrebbe disciplinare il suicidio assistito nei limiti fissati dalla Corte Costituzionale, garantendo ai malati terminali un accesso chiaro e sicuro a questa possibilità.
Tuttavia, la questione resta aperta e profondamente divisiva. Se da un lato si rivendica il diritto all’autodeterminazione e a una morte dignitosa, dall’altro la visione religiosa e morale della Chiesa e di una parte dell’opinione pubblica sottolinea la sacralità della vita e il pericolo di derive etiche. La politica regionale è chiamata a trovare un equilibrio tra questi principi, ascoltando le diverse sensibilità e garantendo al contempo un sistema di cure adeguato per chi soffre.
Il diritto a morire con dignità e la necessità di un accompagnamento umano e spirituale per i malati sono due esigenze che devono trovare una risposta nella società contemporanea, senza semplificazioni né scorciatoie ideologiche.