“Ho un sassolino nella scarpa” cantava Natalino Otto.
E’ capitato a tutti di volersi liberare di quel sassolino, di voler dire quella cosa che non si dovrebbe ma non si riesce proprio a trattenere. E diciamolo pure: avere uno smartphone tra le mani incoraggia quell’impulso irrefrenabile che talvolta anima anche la persona più pacifica e mite.
E’ bene stare attenti però e non solo per evidenti ragioni di civile convivenza e di rispetto del prossimo. La reputazione è un bene fondamentale: le ragioni di dissenso e/o di critica non diventano meno efficaci se espresse con un linguaggio appropriato, consono, scevro da forme di facile sensazionalismo.
La storia è questa: Un signore aveva pubblicato sul suo “stato” di whatsApp dei contenuti lesivi della reputazione di una donna che, visto quello stato, decide di sporgere querela per diffamazione.
Ricordiamo che commette il reato di diffamazione(art. 595 c.p.)
L’imputato sosteneva che, nei giudizi svoltisi, non fosse stata raggiunta la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della riferibilità dei contenuti pubblicati sullo stato di whatsApp alla donna querelante. Mancava, inoltre, sempre ad avviso dell’imputato, anche la piena prova in ordine alla diffusività del contenuto poiché non era stato dimostrato che i suoi “contatti” della rubrica disponessero di whatsapp e che, di conseguenza, potessero visionare il suo stato.
In questo modo ha provato ad argomentare l’insussistenza del reato di diffamazione, sia per la mancata identificabilità della persona offesa sia per la reale mancata estensione a terzi delle frasi lesive della reputazione altrui.
La Corte di Cassazione ha respinto il suo ricorso.
Con la sentenza n.33219/21 la Suprema Corte ha ritenuto che non vi fossero dubbi sulla riferibilità dei contenuti offensivi alla querelante e, rispetto al secondo profilo, i giudici hanno ritenuto illogica la tesi che l’imputato potesse aver permesso la visione dei contenuti incriminati solo alla persona offesa, bloccandone la visibilità a tutta la sua rubrica del suo cellulare. Se, infatti, l’uomo avesse inteso offendere la donna riferendosi solo alla stessa “sarebbe stato sufficiente mandarle un messaggio individuale”. L’uomo è stato condannato.
Attenzione, dunque: i mezzi di comunicazione che estendono un “contenuto” a più persone (stato di whatsApp, gruppi whatsApp, stato di facebook, profilo facebook, stato instagram, profilo instagram, etc…) devono essere utilizzati con razionalità. Quel sassolino a volte… va lasciato dov’è!