Sempre più spesso sentiamo parlare di società in house. Ma cosa sono realmente? Chi e come le controlla? E cosa significa “controllo analogo”?
Proviamo a dare una risposta a queste domande.
L‘in house providing è quell’istituto che consente ad una pubblica amministrazione di affidare un servizio in modo diretto — e quindi in deroga alle ordinarie procedure ad evidenza pubblica — nei confronti di un soggetto (società o altro ente) che ne costituisce una sua mera articolazione interna, come società di capitali a partecipazione pubblica, non potendosi in questo caso configurare una lesione della concorrenza.
L’art. 113 comma 4 T.U.E.L. stabilisce che gli enti locali possano avvalersi, per la gestione diretta dei servizi pubblici locali attribuiti alla loro competenza, di società di capitali con partecipazione totalitaria di capitale pubblico (cd. in house pura), a condizione che gli enti pubblici titolari dell’intero pacchetto azionario esercitino, sulla società di capitali, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società partecipata realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
Tale istituto è stato ritenuto ammissibile solo nel rispetto di alcune rigorose condizioni, individuate dalla giurisprudenza comunitaria ed elaborate anche da quella nazionale, rappresentate da:
Il controllo analogo consiste in una “influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata” (art. 2, comma 1, lett. c), D.L.vo 19 agosto 2016, n. 175, recante il “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”).
Nel silenzio della legge è spettato però alla giurisprudenza riempire di contenuti concreti la condizione di «controllo analogo». Sul tema, la prima rilevante pronuncia è quella della Corte di Giustizia 13 ottobre 2005, causa C¬458/03 cd. “Parking Brixen”. I Giudici comunitari hanno approfondito il tema relativo all’affidamento diretto di pubblici servizi, specificando i caratteri del controllo che l’ente deve esercitare sulla società affidataria del servizio pubblico; la sentenza merita una lettura nella sua interezza.
E’ possibile, dunque, procedere con l’affidamento diretto del servizio pubblico, in deroga alla regola comunitaria della “concorrenza”, solo quando il rapporto tra la società pubblica e l’ente concessionaria sia regolato da una serie di condizioni e clausole che garantiscano il controllo analogo tra queste ricordiamo:
I risultati economici, positivi e negativi, della partecipata, vanno a confluire direttamente nel bilancio dell’ente pubblico proprietario, cosicché la mala gestione/o il dissesto della società in house providing (ricordiamo che tali società possono anche essere dichiarate fallite) produce effetti diretti sull’ente pubblico e quindi sui cittadini.
L’affidamento diretto del servizio pubblico è ammesso sul presupposto che tale modalità persegua finalità più convenienti per il fruitore del servizio e quindi il cittadino. L’errata attuazione del “controllo analogo” da parte dell’ente pubblico va a incidere direttamente e negativamente sulla efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, determinando lo sviamento di pubblico denaro dal fine primario del soddisfacimento dell’interesse collettivo.
Non sempre la gestione diretta dei servizi pubblici persegue tali nobili obiettivi e all’irregolare o omesso “controllo analogo” consegue la degenerazione del sistema con la conseguente inefficienza del servizio e la crescita esponenziale dei costi a danno della comunità interessata.