Agenda Onu 2030 e Gender gap

27
Sep

Agenda Onu 2030 e Gender gap

Per le donne è ancora in salita la strada per il raggiungimento della parità di genere!
Secondo il nuovo rapporto sulle disuguaglianze bisognerà attendere il 2154…

Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo sostenibile e la Parità di genere.
Si scrive “Obiettivo 5”, si legge “Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze”.
L’obiettivo è quello di arrivare a una parità di genere di tutte le donne, garantendo loro un accesso egualitario a sanità, educazione, formazione e, non ultimo, a un lavoro dignitoso. Potrebbe sembrare surreale, e invece non lo è affatto. Tra i 17 obiettivi che l’Agenda Onu si pone, questo risulta il più difficile da raggiungere.

Non confortano, in questa direzione, i dati elaborati dal World Economic Forum nel suo Rapporto globale sulla parità di genere” per far si che le donne possano vedersi assicurati diritti uguali a quelli degli uomini dovranno attendere il lontano 2154. Un tempo lungo ancora 131 anni. Se poi ci affascina la lettura attraverso i numeri, gli stessi dati raccontano che ci vorranno incredibilmente ancora 286 anni per colmare le lacune nella protezione legale delle donne; 140 anni perché le donne possano essere equamente rappresentate sul posto di lavoro e “appena” 47 anni per spuntare una pari rappresentanza nei vari Parlamenti dei rispettivi Paesi.

Per cercare di affrontare al meglio la questione, l’Onu ha da poco realizzato una ricerca condotta dal suo Ente “Un Women”, ricerca che affida le sue rilevazioni a due nuovi indici che consentano un quadro più approfondito ed introducendo per la prima volta un indicatore per la violenza contro le donne. Anche questo approfondimento, però non aiuta a migliorare il quadro, anzi – se possibile – lo rende ancora più sconfortante perché NESSUNO dei Paesi analizzati ce la fa a raggiungere la piena parità di genere.
Né migliora le cose il dato secondo il quale meno dell’1% delle donne vive in Paesi ad alto tasso di emancipazione femminile. Un dato che pesa ancora di più se lo materializziamo in quel 3,1 miliardi di donne discriminate, più del 90% della popolazione mondiale femminile che vivono in Paesi con un livello medio basso di empowerment femminile, quindi di forza e consapevolezza di sé.

In questo quadro sconfortante, si colloca lo sconfortante posizionamento dell’Italia nel quadro europeo, visto che il nostro Paese “conquista” il terz’ultimo posto in graduatoria. Dopo di noi solo Ungheria e Repubblica Ceca riescono a fare peggio. In testa, invece, la Svezia seguita dall’Islanda e dalla Norvegia.

Ma quali sono le ragioni del pessimo risultato del nostro Paese? Si parte da un tasso di occupazione femminile bassissimo combinato con un ruolo sociale che vede essenzialmente la componente femminile del nucleo familiare farsene carico della cura; l’inadeguatezza dei servizi sociali destinati a maternità e genitorialità; la violenza contro le donne schizzata a livelli inaccettabili; il peso nel ruolo di responsabilità ancora molto, troppo limitato nel settore pubblico e privato così come nella rappresentanza politica e parlamentare. A contrasto, nel frattempo, altri Paesi hanno investito nel welfare a supporto delle donne così, se gli altri migliorano e noi non facciamo almeno quanto loro, la nostra discesa in classifica è inevitabile.

Quali azioni politiche, quindi, si possono mettere in campo per imprimere un’accelerata al processo verso la parità?
Innanzitutto lavorare su una corretta educazione e istruzione; sulla partecipazione delle donne alla vita pubblica, politica, sanitaria e su una più forte sensibilizzazione al fenomeno della violenza sulle donne. Ma anche lavorare per eliminare le disparità sul lavoro, da quelle retributive e pensionistiche, garantendo più tutele alle lavoratrici a partire dalla conciliazione dei tempi; migliorare l’uso della tecnologia che può aiutare il lavoro delle donne senza che questo, però, diventi per loro ghettizzante. Insomma usare tutti gli strumenti per mettere in campo un profondo cambiamento culturale che spazzi via i pregiudizi. Tutti aspetti, questi, che potrebbero sembrare scontati, ma non lo sono. A ricordarcelo è l’apartheid di genere che vivono le donne in Afghanistan. Donne che hanno perso tutti i diritti fondamentali degli essere umani, da quelli allo studio e al lavoro fino al diritto di usare i bagni pubblici. Assurdo!