Chi maltratta rischia il carcere.
E se maltratta fino ad uccidere, rischia fino a 24 anni.
Non serve una querela della vittima, si procede d’ufficio.
E lo sapevate che il reato di maltrattamenti vale anche a Scuola?
Il reato di maltrattamento in famiglia è previsto e punito dall’art. 572 del codice penale. La legge di riforma del 2012 ha conferito alla norma una portata più ampia al fine di tutelare l’integrità fisica e morale di ognuno, sia nel contesto familiare sia in quello di natura para-familiare.
Cosa rischia chi maltratta? Il reato punisce con la reclusione da tre a sette anni chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte.
E’ configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purché sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso:
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
L’art. 572 c.p. attribuisce particolare disvalore alla reiterata aggressione all’altrui personalità, assegnando autonomo rilievo penale all’imposizione di un sistema di vita caratterizzato da sofferenze, afflizioni, lesioni dell’integrità fisica o psichica, le quali incidono negativamente sulla personalità della vittima e su valori fondamentali propri della dignità e della condizione umana.
Quando non si applica l’art. 572? Ne risultano esclusi soltanto gli atti episodici, pur lesivi dei diritti fondamentali della persona, ma non riconducibili nell’ambito della descritta cornice unitaria, perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari che sempre possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, che conservano eventualmente, se ne ricorrono i presupposti, la propria autonomia come delitti contro la persona (ingiurie, percosse, lesioni), già di per sé sanzionati dall’ordinamento giuridico.
Chi e come denuncia? Il reato di maltrattamenti in famiglia è procedibile d’ufficio, cioè a prescindere da una formale querela della persona offesa. Ciò comporta l’inefficacia della remissione di querela nei procedimenti volti ad accertare tale tipologia di reato poiché, anche se la vittima decide di voler ritirare la denuncia sporta nei confronti del soggetto maltrattante, il procedimento seguirà comunque il suo corso.
L’elemento soggettivo del reato è il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di maltrattare il soggetto passivo, non assumendo rilevanza ai fini dell’integrazione del reato le finalità perseguite dal soggetto agente.
Quando si configura? Per ciò che concerne i soggetti passivi del delitto si erano posti particolari problemi interpretativi aventi ad oggetto il valore della locuzione “persone della famiglia”; a tal riguardo, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia non è necessario che i soggetti siano legati da un vincolo di parentela o affinità, ma fondamentale è il legame, tra di esse, di assistenza e/o protezione allo stato attuale, anche in assenza di un rapporto di convivenza o di stabile coabitazione.
Un aspetto peculiare del reato di maltrattamenti è quello che vede come protagonista la scuola: numerosi fatti di cronaca hanno messo in luce come uno dei luoghi dove il minore ripone maggiore fiducia, rappresentando il posto più vicino alla realtà domestica, possa diventare, paradossalmente, motivo di angoscia; la Suprema Corte, con la sent. 40959/2017 stabilisce che nell’ipotesi in cui l’insegnante utilizzi ripetutamente violenza a danno dell’alunno non risponde del reato di cui all’art. 571 del c.p. (abusi di mezzi di correzione), ma del reato, di tutt’altra portata, di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (l’uso sistematico della violenza, quale ordinario fatto del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può, infatti rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo quello di maltrattamento in famiglia)