L’autodeterminazione delle donne è una conquista che si manifesta nella libertà di scelta, nella tutela della dignità personale e nel riconoscimento dei diritti fondamentali. Tuttavia, le recenti evoluzioni legislative sollevano preoccupazioni circa la reale possibilità per le donne di esercitare pienamente questo diritto. L’interruzione volontaria di gravidanza, la lotta ai maltrattamenti familiari e la criminalizzazione della gestazione per altri sono temi centrali che mettono in luce quanto ancora ci sia da fare per garantire una piena parità.
La legge 194 del 1978, che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), è stata un pilastro nella storia dei diritti delle donne in Italia. Tuttavia, negli ultimi anni, interventi normativi e amministrativi ne hanno compromesso l’applicazione. Tra questi, una delle modifiche più controverse è l’introduzione nei consultori familiari di associazioni “pro-vita”, il cui scopo dichiarato è quello di scoraggiare le donne dall’interrompere la gravidanza.
Questa misura, oltre a interferire con la libertà di scelta delle donne, trasforma i consultori – che per legge dovrebbero offrire un supporto neutrale – in luoghi di pressione ideologica. Tale approccio ignora il principio cardine della legge 194, ossia il rispetto per l’autodeterminazione della donna, e rischia di trasformare un diritto in un percorso a ostacoli.
In aggiunta, l’elevata percentuale di obiettori di coscienza nel personale medico e la mancanza di strutture adeguate in molte regioni italiane continuano a rendere difficile l’accesso all’IVG, soprattutto per le donne che vivono in aree periferiche. È essenziale che le istituzioni intervengano per garantire un’applicazione uniforme della legge, assicurando che ogni donna possa accedere a servizi sicuri, rapidi e rispettosi della sua libertà di scelta.
Parallelamente, il diritto delle donne all’autodeterminazione si scontra spesso con la realtà della violenza domestica. Nonostante i progressi normativi, come l’introduzione del “Codice Rosso” (legge n. 69/2019), la violenza contro le donne continua a rappresentare una delle maggiori violazioni dei diritti umani. Ogni anno migliaia di donne subiscono abusi fisici, psicologici ed economici, e molte non denunciano per paura di ritorsioni o per mancanza di supporto.
Il fenomeno della violenza economica, in particolare, limita fortemente l’autonomia delle donne, impedendo loro di uscire da situazioni di abuso. È necessario potenziare le misure di sostegno economico e psicologico, rafforzare i centri antiviolenza e garantire percorsi concreti di reinserimento lavorativo e sociale per le vittime. La violenza domestica non è un problema privato, ma un’emergenza che richiede un impegno corale da parte di istituzioni, società civile e cittadini.
Un altro tema che solleva interrogativi sul fronte dell’autodeterminazione è la recente legge che ha reso la gestazione per altri (GPA) un reato universale, punibile anche se commesso all’estero. Questa norma, presentata come una misura di tutela contro lo sfruttamento delle donne, in realtà impedisce anche a coppie consenzienti, spesso impossibilitate ad avere figli, di accedere a un percorso regolamentato e sicuro.
La criminalizzazione universale della GPA nega di fatto la possibilità per le donne che scelgono volontariamente di portare avanti una gravidanza per conto di altri di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione. La legge ignora inoltre che molti Paesi hanno normative che regolano la GPA in maniera etica e trasparente, prevedendo tutele per tutte le parti coinvolte.
Questa scelta legislativa, fortemente ideologica, limita non solo la libertà delle donne, ma anche quella delle coppie, comprese quelle omosessuali, di realizzare il desiderio di genitorialità. Invece di criminalizzare, sarebbe stato opportuno aprire un dibattito serio e costruttivo per valutare modalità regolamentate che rispettino i diritti e la dignità di tutti i soggetti coinvolti.
La libertà di autodeterminazione delle donne non può essere messa in discussione da norme che, seppur presentate come misure di tutela, finiscono per comprimere i diritti personali. Che si tratti di IVG, di violenza domestica o di GPA, il principio fondamentale da difendere è quello della libertà di scelta, garantendo alle donne il diritto di decidere autonomamente sul proprio corpo e sulla propria vita.
La politica ha il dovere di tutelare e ampliare questi diritti, non di limitarli. Solo attraverso un impegno concreto per garantire pieno accesso ai servizi, protezione contro ogni forma di violenza e rispetto per le scelte individuali, sarà possibile costruire una società veramente equa e rispettosa della dignità umana.