Alle donne che hanno detto e dicono addio a un figlio, un marito, un compagno soldato.
Alle donne che al primo ruggito di guerra sono rientrate e rientrano in patria per portare in salvo un figlio.
Alle donne che non possono scappare e restano impotenti in un appartamento perchè madri di un bambino diversamente abile
Alle donne, medici e infermiere, che continuano a infondere cure e speranza ai bambini malati di cancro.
E penso alle donne sfollate il cui corpo diventa un oggetto a disposizione dei soldati.
Il rischio di stupri di guerra è estremamente concreto, specialmente per i gruppi più vulnerabili o quelli più esposti, come le combattenti volontarie o le giornaliste. In guerra la violenza sessuale viene usata come una vera e propria arma per punire le dissidenti e per rappresaglia nei confronti della popolazione.
Ha denunciato la direttrice esecutiva dell’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere Sima Bahous: “La situazione attuale mette a repentaglio la sicurezza di tutti gli ucraini e espone in particolare le donne e le ragazze a un rischio maggiore di violenza sessuale e di genere, in particolare quelle rifugiate o comunque sfollate dalle loro case. Questi fattori devono essere presi in considerazione in tutti gli sforzi per monitorare e rispondere alla situazione in Ucraina, in modo che i primi segnali di allarme dell’impatto ricevano una risposta adeguata e proporzionata”.
Secondo la Corte penale internazionale istituita nel 2002, lo stupro è un crimine di guerra.
Per questo non possiamo e non dobbiamo dimenticarci delle donne.
Nè in questo conflitto, né mai.